Quando la crisi ci migliora: (l’inaspettato) ritorno ad un giornalismo più maturo – Nova MBA

Quando la crisi ci migliora: (l’inaspettato) ritorno ad un giornalismo più maturo

Intervista a Pietro Peligra, CEO di Rolling Stone Italia

di G. Libonati e A. Signori

Rivoluzionare è molto difficile: è come cambiare il motore di un aereo mentre l’aereo sta volando.

Peligra

Pietro Peligra, CEO di Rolling Stone Italia e HBS 2008, descrive con questa metafora il cambiamento che sta avvenendo nell’editoria. Un cambiamento già evidente negli ultimi anni, ma che diventa necessario in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo. Con realistico ottimismo (‘cerco sempre di guardare il bicchiere mezzo pieno, ma ogni tanto è mezzo vuoto’), Pietro racconta come questa emergenza abbia stravolto le nostre vite ma anche, paradossalmente, riportato un po’ di ordine e misura. L’editoria, che da anni versa in una profonda crisi d’identità, è finalmente riuscita a ritrovare il proprio posto come fonte d’informazione istituzionale e affidabile, adottando una ricostruzione dei fatti più scientifica e misurata. Distante quindi dalla ‘socializzazione dei media’ che ricorre a titoli urlati e scandalistici per attirare l’attenzione del lettore iper- connesso. Il giornalista ha ritrovato motivazione, il giornale il proprio ‘io’ e i lettori, forse, hanno ritrovato un po’ di tempo da dedicare all’analisi e allo scambio di idee. Oltre alle difficoltà su cui siamo chiamati a confrontarci, questo momento di crisi racchiude delle opportunità: saremo in grado di coglierle? Reattività, resilienza e il coraggio di ‘cambiare il motore dell’aereo mentre vola’. Difficile sì, ma talvolta necessario – come spiega Pietro in questa breve chiacchierata…

Quotidiani e riviste si basano sulla capacità dei giornalisti di essere ‘nel posto giusto al momento giusto’. Allo stesso modo, lo scambio di opinioni e il ritrovarsi fisicamente insieme in una redazione sono gli ingredienti necessari per sviluppare opinioni ed articoli di alta qualità. Come vi siete organizzati durante questo ‘lock-down’ per proteggere l’essenza del vostro lavoro e mantenere intatta la qualità degli articoli?
Rolling Stone è un magazine con focus su musica ed entertainment: ha meno esigenza di essere ‘sul campo’ rispetto a chi si occupa, per esempio, di cronaca. Un disco puoi ancora ascoltarlo e l’artista intervistarlo, anche se manca la copertura di eventi ‘live’, attualmente sospesi.
Da un punto di vista organizzativo abbiamo fatto un uso estremamente efficiente dello ‘smart working’. In ottica di business, invece, ha pagato il fatto di aver puntato sul digitale negli ultimi anni: in questo periodo stiamo registrando una crescita del numero di visitatori e in generale un ottimo livello di engagement.
Paradossalmente, e forse con mancanza di lungimiranza, abbiamo registrato una flessione nella raccolta pubblicitaria: gli inserzionisti stanno investendo poco.  Mossa poco lungimirante perché è un periodo di numeri record a livello di visualizzazioni: il pubblico ha più tempo da dedicare all’informazione ed è sicuramente più ricettivo.

È stato difficile ricreare una redazione ‘virtuale’ per alimentare lo scambio di idee ed opinioni tipico della vostra realtà? Quali cambiamenti avete riscontrato durante l’emergenza Covid-19?
Lo spirito non si è perso e siamo riusciti a ricostruire un confronto redazionale anche virtualmente. Anzi questa sfidante situazione ha dato maggiore carica alle persone, facendo ritrovare un più autentico spirito giornalistico.
Quello che sto riscontrando (più da lettore che da editore) è che i giornali abbiano trovato una misura più corretta nel fare informazione: finalmente si è placata la ‘socializzazione’ dei quotidiani. Invece che titoli scandalistici e urlati, linguaggio tipico dei social, i giornali hanno ritrovato un ruolo di centralità nell’informazione e hanno privilegiato un tono di voce e una lettura dei fatti più misurata. Alle prime avvisaglie della crisi si leggevano titoli sensazionalistici: questa prima deriva è stata rapidamente corretta, grazie al senso di responsabilità dei giornalisti e alla volontà di non creare panico. I quotidiani sono tornati ad essere giornali d’informazione istituzionale, privilegiando una ricostruzione più scientifica dei fatti e facendo da contraltare all’informazione sensazionalistica tipica dei social media. I social hanno perso appeal a livello informativo, mentre sono rimasti un valido strumento per facilitare le relazioni – che è ciò per cui sono nati.

Questi cambiamenti, soprattutto in positivo, che si sono verificati in questo periodo così particolare, dureranno anche con il ritorno alla normalità oppure si tornerà al punto di partenza?
Cerco sempre di guardare il bicchiere mezzo pieno, ma ogni tanto è mezzo vuoto. Temo che avremo la memoria di un pesce rosso: per certi aspetti, sapremo fare tesoro di quanto imparato (penso ad esempio alla diffusione dello smart working). Sono più scettico per quanto riguarda le abitudini delle persone. Nel momento in cui torneremo alla normalità, anche se ciò accadesse fra 6-8 mesi, la forza della routine avrà la meglio. È come quando torni dalle ferie: perdi benefici e buoni propositi nel giro di qualche settimana…
Adesso è come se fossimo in un periodo di ‘calma Olimpica’ (quando per le Olimpiadi si sospendevano le guerre): le polemiche sono sospese. Quando si dovrà gestire un post emergenza a livello socio-economico, le divergenze si acutizzeranno. E tutto questo si riverserà sui giornali, i social e tutti i media, oltre a ricadere sulle persone.
Mi auguro che lo spirito di solidarietà possa essere più sostenibile, ma temo che gli impatti più a lungo termine saranno soprattutto di tipo negativo e che ci vorrà poco per riaccendere scintille messe a tacere per via dell’emergenza. La ripresa per campi quali economia, editoria, cinema e molti altri sarà estremamente difficile.

Parlando di ripresa e di quello che verrà dopo, quale futuro vedi per editoria e musica: uno dei connubi più difficili? Questa crisi sarà soltanto pericolo o anche opportunità?
Come spesso accade, la crisi ha accelerato un processo di erosione già in corso. La carta stampata da qualche anno perde in media il 10% l’anno, mentre stiamo assistendo ad una forte crescita dell’online. E’ un tema strutturale e di consumo. La decrescita è strutturale in quanto un giornale di carta stampata dà notizie di ieri e rimane immutabile per tutto l’arco del giorno. La gente, invece, è abituata alla freschezza e all’immediatezza dell’informazione. In termini di consumo, la carta stampata in alcuni contesti è diventata meno pratica.
Da Rolling Stone puntiamo sulla parte online, lasciando la carta stampata a edizioni speciali. La carta stampata ha ancora un valore, ma soprattutto come ‘collectible’. Le 3 o 4 edizioni cartacee che produciamo ogni anno sono numeri da collezione, pensati e scritti da una redazione apposita, con servizi fotografici particolari e articoli inediti.
Con l’online si stanno aprendo molte opportunità, ma gli editori classici sono spesso ingabbiati dentro un modello di business difficile da cambiare: adesso è invece il momento di sperimentare. Prendiamo i social media: sono canali fortissimi, ma bisogna capire come sfruttarli per fare informazione. Tutta la parte di audio e video (i podcasts, le internet TV, …) va sperimentata per trovare il taglio corretto. Senza parlare delle innovazioni introdotte dalla Virtual Reality o dall’Artificial Intelligence. Per innovare, sono essenziali 3 elementi: competenza, investimenti e apertura mentale per prendere rischi. Sperimentando bisogna mettere in conto che alcune cose possano andare male o che i tempi non siano maturi. È un po’ come tornare ai primi anni 2000, quando si sperimentava con il digitale. Ora tutte le aziende editoriali hanno una sezione digitale, 20 anni fa non era così.
Come tutte le crisi siamo in una fase di accelerazione di processi già in atto. Sono nati nuovi meccanismi di consumo ma questo si scontra con una struttura di costi e ricavi pensata per un business più ‘tradizionale’. Rivoluzionare è molto difficile: è come cambiare il motore di un aereo mentre l’aereo sta volando.
Noi abbiamo creato un’azienda separata: con un proprio P&L e con persone dai background più disparati. Siamo entranti nell’ottica di ‘open innovation’, cercando di essere un incubatore verticale su media ed entertainment. Facciamo ‘calls for ideas’, sperimentiamo, collaboriamo con startup: quando troviamo l’idea vincente la produciamo e la distribuiamo. Questo è l’unico modo di innovare: se adotti tecnologie dopo che sono già state sdoganate è troppo tardi.

Qual è il giusto ‘tone of voice’ da avere in un momento così delicato? Come si può stare vicini ai lettori che hanno sicuramente bisogno di intrattenimento senza urtarne la sensibilità?
Da Rolling Stone non abbiamo cambiato ‘tone of voice’: da sempre adottiamo un tono graffiante e dissacrante che ci contraddistingue. Quando hai un ‘imprinting’ ben definito, lo mantieni. Quindi lo stile è lo stesso, ma in questo momento raccontiamo più attualità. Sicuramente c’è un tema di sensibilità da considerare, ma il nostro pubblico non è un pubblico di bambini da proteggere, anzi si aspetta messaggi forti quando serve. Così come il ‘restiamo a casa’ di questi giorni, diffuso talvolta in maniera molto diretta.
Il vero punto non è il tono di voce, ma rimanere intellettualmente onesti. Se c’è onestà intellettuale si può anche sbagliare un termine. Non bisogna manipolare le informazioni per trarne vantaggio, ma mantenere il proprio stile con coerenza e onestà intellettuale, soprattutto in un momento delicato come questo.

Nell’editoria ci sono state numerose iniziative per supportare i lettori: quali sono state le azioni intraprese da Rolling Stone?
Rolling Stone è già gratuito online, però abbiamo promosso una ‘open call’. È un’iniziativa rivolta a professionisti e amatori volta a sostenere il Policlinico di Milano. Il tema è ‘prospettive’ e cioè un punto di osservazione inedito sulla malattia. Tramite questo progetto facciamo una raccolta fondi (chiediamo a tutti i fotografici di fare una donazione di 5€ per partecipare) e diamo visibilità a giovani fotografi e professionisti. Le donazioni raccolte, ovviamente integrate da fondi messi a disposizione da noi, verranno donate al Policlinico di Milano per la costruzione della nuova area di terapia intensiva.

Un ultimo messaggio: come prevedi possa essere il tanto agognato ‘ritorno’ alla normalità?
Non amo la tendenza a dare messaggi estremamente retorici e altisonanti (un po’ come a Capodanno quando si fanno tanti buoni propositi, che sappiamo come vanno a finire…). Mi limito a una brevissima segnalazione: i momenti di crisi e difficoltà sono anche quelli in cui si creano le più grosse opportunità. Dalla crisi del 2007 sono nati Facebook, Instagram e Uber. La crisi è un acceleratore di quello che avverrebbe naturalmente: chi non era sufficientemente robusto per rimanere in piedi cede, ma persone o idee che avevano poco spazio o che non ne avevano proprio, possono trovare lo spazio per fiorire. Sfruttiamo questo periodo per captare i segnali deboli. Non bisogna avere paura di fare modifiche anche sostanziali al proprio modello di business perché la crisi apre una finestra per cambiare, sia esternamente sia internamente.
Ci vuole un ‘extra’ sforzo mentale per immaginare dove andrà il mondo e spostare le proprie risorse di conseguenza, ma è importante trovare il coraggio per fare quei cambiamenti che, per inerzia o necessità, non erano ancora stati fatti.

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