Resilient leadership in momenti di crisi – Nova MBA

Resilient leadership in momenti di crisi

Intervista ad Andrea Splendiani, consulente presso Egon Zehnder

di G. Libonati e A. Signori


La leadership esercitata in un questo momento di crisi sarà ricordata nel tempo: questa è un’occasione per cambiare e per cambiarci – non perdiamola.

Andrea Splendiani
Così Andrea Splendiani (IMD 2013), consulente presso Egon Zehnder, società leader di Executive Search e Leadership Advisory, ci spiega il difficile compito a cui siamo chiamati in questo delicato periodo.

Lavorando su tutte le fasi della vita professionale di un manager, con programmi che spaziano dall’individuo, al team, fino ad intere organizzazioni, Egon Zehnder è sicuramente in una posizione privilegiata per osservare come le aziende ed i leader stiano affrontando l’emergenza Covid-19. In questa fase, ruolo rilevante ha soprattutto promuovere un modello di resilient leadership”: come un leader sceglie di gestire la crisi, come si adatta all’imprevisto, come non nasconde le sue vulnerabilità, come struttura e comunica il set valoriale dell’azienda contribuirà a creare la sua legacy.È essenziale che il CEO ampli la propria vista rispetto alle urgenze del quotidiano, per avvicinarsi all’organizzazione e ricordare a tutti che sono parte di un team, che anche se lontani appartengono ad una stessa istituzione con una mission che li unisce al di là della distanza fisica del momento”. Quando ci si dà spazio a vicenda si possono creare dialoghi su livelli più intimi, più emotivi e più vulnerabili, che creano un’unione ad un livello più profondo, nonostante la distanza fisica, unione che permette di ampliare lo spazio di manovra di ognuno e di trovare soluzioni ai problemi più complessi.

L’emergenza CoVid19 ha portato molti cambiamenti nel mondo del lavoro: uno fra tutti, l’esplosione dello Smart Working. Quali di queste novità sono arrivate per restare e cosa invece verrà dimenticato con il ritorno alla ‘normalità’?
È una domanda che tocca diversi elementi della nostra vita, non solo quello professionale. La possibilità di ognuno di noi di fruire efficacemente dello Smart Working dipende dalle infrastrutture a disposizione (sia aziendali che domestiche), dalla configurazione logistica della propria abitazione, dalla natura del lavoro, e così via. Alcuni dei cambiamenti che abbiamo visto in questo periodo sono a tutti gli effetti investimenti per il lungo termine. Mi riferisco soprattutto alle infrastrutture e ai layers tecnologici sviluppati dalle aziende per abilitare il work from home, e all’aver forzatamente vinto la resistenza ad attraversare la learning curve iniziale per padroneggiare alcuni strumenti. Globalmente, però, per molte famiglie e molti professionisti un livello di Smart Working al 100% non è sostenibile da un punto di vista privato (mancanza di locali, necessità di occuparsi dei figli, …). Detto questo, il vero cambiamento che penso e mi auguro sia arrivato per restare è quello culturale: queste settimane ci hanno insegnato che a casa si può essere anche più produttivi (e stanchi a fine giornata!) che in ufficio e che da un meeting si può tirar fuori un risultato concreto anche se fatto in video conference. Questo insegnamento ci toglie un alibi, un’inerzia mentale che in certi casi ci spingeva ad essere diffidenti, scettici e a considerare un incontro da remoto come un “piano C”. Abbiamo invece riscoperto che dall’autonomia e dalla fiducia che lasciamo a collaboratori e partner può nascere un nuovo modo di costruire insieme il futuro che non ha niente da invidiare a quello “vecchio”.

La pandemia ha cambiato le regole del gioco nel mercato del lavoro? Sono nate nuove professioni, competenze o skills che prima non esistevano oppure che non erano percepite con la stessa rilevanza?
Non credo che siano nate delle professioni completamente nuove, ma sicuramente il mercato ha riscoperto e in certi casi addirittura ridefinito alcuni ruoli e alcune responsabilità. Due su tutte: la comunicazione interna e la business continuity. In termini di comunicazione interna, quello che prima era a volte considerato un optional è stato rivalutato come collante principale dell’azienda, una forza con l’onore e l’onere di tenere uniti elementi di un organismo complesso, l’azienda, che in mancanza di un fattor comune geografico rischiano di isolarsi, disperdersi, distaccarsi. Il rischio c’è ed è alto, soprattutto se si astrae dalla situazione piuttosto specifica di un leadership team per sua natura compatto e coeso e si pensa alla popolazione aziendale nel suo complesso, fatta anche di persone più riservate e meno naturalmente inclini a rimanere in contatto. In quest’ottica, la capacità di un’azienda di far sì che nessuno si senta solo diventa elemento differenziante (e permette come beneficio aggiuntivo al management di avere una vista non parziale). In termini di business continuity, penso che molte aziende si siano trovate impreparate e stiano iniziando a ragionare sul fatto che, anche passata questa emergenza, un “black swan event” non sia così raro e improbabile come credevamo e che quindi dobbiamo prepararci ad avere pronte risposte a domande difficili (“come mandare avanti la produzione con il 20%-50% della forza lavoro in quarantena?”, “come reagire ad una chiusura improvvisa di tutte le frontiere?”, …). Risposte che oggi non abbiamo.

Qualche consiglio per la community di NOVA: come investire al meglio tempo ed energie per renderci pronti ad affrontare il post-quarantena?
Sembra una banalità, ma l’investimento principale deve essere sempre sulla propria salute e sulla propria serenità. Personalmente ho trovato molto utile creare una routine che arricchisca la mia giornata a fronte di quello che la quarantena le ha tolto: ad esempio, i 20-30 minuti di commuting sono stati dedicati alla ginnastica, che prima non facevo; il tempo della pausa pranzo lo dedico a parlare coi miei figli e a raccontare loro cosa ho fatto a lavoro; ho riconvertito alcune delle pause caffè in telefonate ad amici che non sento da tempo ed è una bella occasione di investire su rapporti a volte troppo trascurati. Da un punto di vista più orientato alle “hard skills”, in passato mi sono trovato molto bene con i corsi di Udemy, che rispetto a quelli di altre piattaforme tipo Coursera hanno un taglio più ‘hands-on’ e pragmatico. Il mio consiglio per la community di NOVA è di considerare le opportunità di upskilling e reskilling non in ottica di cambio carriera ma in ottica di apertura mentale: ad esempio, un corso di coding non aprirà di per sé le porte a nuovi sbocchi professionali ma permetterà ad un manager di essere molto più consapevole ed efficace nel definire una roadmap di trasformazione digitale o di sviluppo prodotto. Mi farei guidare dalla domanda: “Quali sono gli interlocutori con cui oggi faccio più fatica a parlare, e quali competenze potrei acquisire per entrare meglio in relazione con loro?”

Quali sono i 3 ‘tips’ di Andrea per chi dovesse trovarsi di fronte ad un cambio carriera (per scelta o per necessità)?

  • Siate strategici nelle vostre scelte di vita: il mondo sta andando in una direzione in termini di settori, ruoli, cultura lavorativa… se andate nella direzione opposta fatelo perché ne siete fortemente convinti, non per caso
  • Rispetto al ruolo preferite il progetto, e rispetto al progetto preferite il “purpose”: come in tutte le relazioni umane l’innamoramento passa e una vita insieme si costruisce partendo dai valori
  • Non abbiate paura: il momento che stiamo vivendo è drammatico da molti punti di vista ma non fermerà il progresso sociale e tecnologico che l’umanità persegue da millenni – se trovate una causa per cui vale la pena combattere, fatelo!
Nova Administrator
Nova

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